giovedì 24 novembre 2016

Nick Cave & The Bad Seeds

Nick Cave & The Bad Seeds
Skeleton Tree 
[Bad Seed LTD 2016
]
www.nickcave.com
 File Under: Death is not the end
di Nicola Gervasini (21/09/2016)
Quando leggerete questa recensione, Skeleton Tree sarà già uscito da molti giorni, e avrete già letto non una, ma parecchie critiche entusiastiche, con lodi sperticate al limite di un servizio RAI di Vincenzo Mollica. Giusto: Nick Cave, dopo un decennio di leggero appannamento, è decisamente tornato in forma, e anche questo è un disco importante e, a suo modo, bello. Potremmo entrare nel merito dei singoli brani, ma ripeteremmo discorsi sull'esorcizzazione della morte (quella di suo figlio), sulla musica come surrogato del lettino dello psicoanalista, e sul rumore che produce un'anima sventrata dalla tragedia. I dischi di Cave non sono certo mai stati allegri, da un lato vuoi per la naturale propensione della sua voce e del suo teatrale cantato al melodramma, dall'altro per la sua visione della morte come punto focale di ogni vicenda umana.

Ma, toccato nel personale, Cave si è liberato di tutte le voglie di uscire da quel suono oscuro che ha caratterizzato la sua altalenante produzione degli anni zero, e ha composto otto brani ancora più lenti e tetri del precedente Push The Sky AwayJesus Alone è un singolo decisamente anti-hit, quasi uno spoken-blues, con uno uso di tastiere e sintetizzatori maggiore del solito (Warren Ellis è il vero Deus ex machina produttivo), sui quali poggia anche la successiva Rings Of Saturn. Degli otto brani, alcuni sono funzionali all'idea di fare un disco che sia una vera e propria marcia funebre (Magneto e Anthrocene sono semplici recitati su tappeto sonoro), altri invece dimostrano un autore comunque in stato di grazia (Girl In AmberI Need You). Per quanto resterà un disco importante nella sua discografia, quando passerà lo shock emotivo di un album così "pesante", noteremo magari che il precedente era più vario e meglio strutturato, e che il capolavoro Cave lo aveva saputo fare con "Boatman's Call", dove affrontava gli stessi temi curando molto anche la costruzione di vere e proprie canzoni, e di quelle ci ricorderemo sempre tra qualche anno, non di queste.

Ma un'altra discussione che lancerei è capire come mai gli unici due album che sembrano aver messo d'accordo tutti nel 2016 facendo gridare al capolavoro (questo e Blackstar di David Bowie), siano dischi egualmente lugubri e dedicati alla morte, accomunati da una caparbietà nel crogiolarsi nel dolore da far sembrare "Magic And Loss" di Lou Reed un party-record. Sembra quasi che in assenza di idee nuove, il rock classico possa trovare alti livelli solo scendendo negli inferi del proprio male, e se questo almeno ci garantisce sul fatto che ancora qualcosa di importante ci sia da dire, dall'altro ci fa domandare: visto che ai tempi di Elvis tutto era nato per parlare di ragazze, sesso e automobili, ci sarà mai qualcuno ancora in grado di farci gridare al miracolo con una canzone che semplicemente vuole far ballare e venir voglia di scopare?

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